Per contenere il riscaldamento globale a livelli gestibili, il mondo ha soltanto pochi anni di tempo per smettere definitivamente di utilizzare i combustibili fossili.
Se le emissioni globali di gas a effetto serra non verranno ridotte a quasi la metà entro il 2030, il mondo probabilmente subirà impatti climatici estremi.
Questo è il messaggio riportato dall’ultimo rapporto del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Intergovernmental Panel on Climate Change, IPCC) delle Nazioni Unite.
Secondo il rapporto, Cambiamento climatico 2022: Mitigazione del cambiamento climatico, pubblicato il 4 aprile, se non saranno adottate misure urgenti, l’umanità non riuscirà a limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi Celsius, soglia oltre la quale il futuro vedrà l’aumento di incendi, periodi di siccità, uragani e non solo. All’attuale livello di avanzamento, comunque, le emissioni di gas a effetto serra genereranno probabilmente il doppio del riscaldamento: circa 3,2°C entro il 2100.
“Ora o mai più, dobbiamo agire adesso se vogliamo limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C”, ha affermato in conferenza stampa Jim Skea, copresidente del gruppo di lavoro dell’IPCC che ha redatto il rapporto. “Senza un’immediata e drastica riduzione delle emissioni in tutti i settori, sarà impossibile”.
I gas a effetto serra nell’atmosfera terrestre hanno raggiunto i più alti livelli nella storia dell’umanità; nel 2020 se ne è rilevato un forte calo a seguito delle misure di contenimento della pandemia, ma nel 2021 sono risaliti o hanno addirittura superato i livelli record del 2019, quando è stato registrato un incremento del 12% rispetto al 2010 – e del 54% rispetto al 1990, anno della pubblicazione del primo report dell’IPCC.
Skea ha sottolineato, tuttavia, che “ci sono crescenti prove di interventi in atto in campo climatico”: il ritmo di aumento delle emissioni dei gas serra è stato più lento tra il 2010 e il 2019 rispetto al decennio precedente; e ora esistono tecnologie e politiche che possono consentire un forte calo delle emissioni, se c’è la volontà politica di metterle in atto.
“Siamo a un bivio”, ha aggiunto durante la conferenza Hoesung Lee, presidente dell’IPCC. “Le decisioni che prendiamo adesso possono assicurarci un futuro vivibile, abbiamo gli strumenti e le competenze necessarie per contenere il riscaldamento globale”.
Ecco di seguito alcuni dei punti chiave del report.
La rivoluzione dell’energia pulita sta diventando molto più economica
Affinché ci sia la speranza di limitare il riscaldamento globale a 1,5°C, l’utilizzo del carbone deve essere tagliato del 95% in tutto il mondo, e il consumo di petrolio e gas deve essere ridotto rispettivamente del 60% e del 45% entro il 2050. Fortunatamente, per molte persone in molti luoghi, installare nuovi sistemi energetici puliti è più economico rispetto a continuare a usare l’energia ricavata dai combustibili fossili, e spesso è più economico anche di installare nuove infrastrutture per combustibili fossili.
Dal 2010 al 2019 il costo sia dell’energia solare che delle batterie agli ioni di litio è diminuito in media del 85%, e quello dell’energia eolica del 55%. Il crollo dei prezzi ha consentito un’implementazione molto maggiore e diffusa di queste tecnologie: l’utilizzo dei veicoli elettrici, ad esempio, è aumentato vertiginosamente di 100 volte nel corso dello stesso decennio, e l’energia solare è adesso 10 volte più diffusa in tutto il mondo, sebbene i numeri specifici varino molto da Paese a Paese e da regione a regione.
“Almeno nella fase di ricerca, sviluppo e dimostrazione, abbiamo tutte le tecnologie necessarie per la decarbonizzazione della nostra economia, e quelle che dobbiamo ancora sviluppare, potrebbero essere realizzate rapidamente, con le giuste politiche”, afferma Genevieve Guenther, direttrice e fondatrice dell’organizzazione di volontariato End Climate Silence e autrice del libro di prossima uscita The Language of Climate Politics (Il linguaggio delle politiche del clima, N.d.T.). “Come abbiamo visto nel periodo della Seconda guerra mondiale, quando all’inizio alcuni ancora usavano cavalli e calessi, e alla fine si è giunti alla scissione dell’atomo, l’essere umano è capace di grandi imprese, quando si applica”.
Politica e resistenza al cambiamento sono i principali ostacoli
Molti Paesi hanno attuato politiche che hanno ottimizzato l’efficienza energetica, ridotto il tasso di deforestazione o accelerato la diffusione delle tecnologie per l’energia pulita. Altri si sono impegnati a ridurre le emissioni, sottoscrivendo l’Accordo di Parigi. Tuttavia gli obiettivi di molti Paesi non sono abbastanza ambiziosi, mentre altre nazioni hanno promesso di diminuire significativamente le proprie emissioni ma non mostrano segni di aver intrapreso le azioni necessarie.
“Alcuni, tra leader politici e imprenditori, dicono una cosa e poi ne fanno un’altra”, ha affermato Antonio Guterres, Segretario Generale delle Nazioni Unite a seguito della pubblicazione del report. “In pratica, mentono. E i risultati saranno catastrofici”.
Nel report IPCC si afferma che “in termini prettamente tecnologici e di costo, la mitigazione delle emissioni per limitare il riscaldamento a 1,5 °C è fattibile”. Gli ostacoli vengono “dalla politica e dai rapporti di potere, e dagli interessi a mantenere lo status-quo e bloccare le politiche sul clima, compreso l’abbandono dei combustibili fossili. A questo contesto appartengono le campagne di disinformazione che cercano attivamente di minare la fiducia nella scienza del clima”.
“È la prima volta che vedo mettere così in risalto la disinformazione, in un report dell’IPCC”, afferma Alexander Barron, professore assistente di Scienze e politiche ambientali presso lo Smith College in Massachusetts. “Da scienziato che lavora nel campo delle politiche sul clima, ho visto i messaggi dei cosiddetti esperti essere amplificati dai think-tank finanziati dagli operatori del settore dei combustibili fossili; ho visto attori ingaggiati per presenziare alle riunioni comunitarie; credo sia difficile rendersi conto dell’opposizione attiva che è stata fatta al procedere sul percorso che invece dobbiamo seguire”.
Nel report si evidenzia inoltre che i finanziamenti per le energie rinnovabili “sono notevolmente inferiori rispetto a quanto sarebbe necessario”, e non sono nemmeno lontanamente paragonabili alle sovvenzioni fornite ai combustibili fossili. La riflessione conclusiva su questo tema è che, anche solo eliminando tali sovvenzioni, le emissioni di gas a effetto serra verrebbero ridotte del 10% entro il 2030.
I tagli necessari alle emissioni di metano
Anche se di durata più breve e meno abbondante nell’atmosfera rispetto all’anidride carbonica, il metano è un gas a effetto serra molto più potente: si stima che entro la metà del secolo arriverà a rappresentare il 60% delle emissioni di gas serra (a parte la CO2). Tuttavia essendo meno persistente nell’atmosfera, diminuendo sostanzialmente le sue emissioni è possibile ottenere una rapida riduzione del suo impatto sul riscaldamento del pianeta.
Uno dei modi più efficaci per farlo è intercettare le cosiddette emissioni “fuggitive”: quantità di metano che vengono rilasciate nell’atmosfera durante le attività di estrazione e trasporto o che fuoriescono da pozzi petroliferi da tempo abbandonati. L’IPCC calcola che le emissioni fuggitive rappresentino il 32% circa di tutto il metano rilasciato nell’atmosfera a livello globale e il 6% di tutte le emissioni di gas serra.
Rimozione della CO2: una soluzione “tappabuchi” non senza riserve
Data la lentezza dei processi verso la riduzione delle quantità di gas serra emessi nell’atmosfera, nel report si afferma che sarebbe di vitale importanza, nel frattempo, rimuovere un po’ di quelli che già sono presenti. Alcune stime indicano la necessità di rimuovere dall’atmosfera 10 gigatonnellate di CO2 (più delle emissioni totali annuali degli USA) all’anno entro metà del secolo. Alcuni dei metodi per farlo tuttavia, potrebbero avere più controindicazioni che vantaggi.
“Ci abbiamo messo così tanto tempo per avviare le azioni necessarie, che non sorprende che alcuni modelli prevedano la rimozione dell’anidride carbonica, soprattutto se vogliamo mantenere l’aumento della temperatura al di sotto degli 1,5 °C”, afferma Barron. “È più semplice evitare di emettere l’anidride carbonica piuttosto che rimuoverla una volta che è già presente. Ma nell’elenco riportato dal report ci sono molte pratiche — come riforestazione, migliore gestione delle foreste, migliori pratiche agricole e di allevamento, protezione degli ecosistemi costieri — che catturano la Co2 naturalmente e sono al contempo benefiche anche per la biodiversità e il sostentamento delle popolazioni locali e quindi probabilmente è opportuno mettere in atto comunque. Il problema è quando le persone pensano che basti trovare una tecnologia magica che risolva il problema al posto nostro”.
Rispetto a questo, nel report si sottolinea che alcune delle attività svolte per rimuovere la CO2, come ad esempio il rimboschimento (impianto di boschi su terreni nudi di vegetazione legnosa) e la conversione di terreni alla coltivazione di biocarburanti, possono avere impatti negativi sulla biodiversità e il sostentamento degli abitanti del posto, mentre la fertilizzazione degli oceani, ovvero la distribuzione sugli strati superiori dell’oceano di nutrienti per promuovere la crescita del plancton, potrebbe causare modifiche nell’ecosistema nonché l’acidificazione delle acque più profonde.
Per avere una reale opportunità di mantenere l’aumento della temperatura globale al di sotto dei 2 °C, conclude il report dell’IPCC, le previsioni dei modelli indicano che da ora al 2100 dovremo estrarre dall’atmosfera una quantità di anidride carbonica che va dai 170 miliardi ai 900 miliardi di tonnellate, usando solo una o entrambe le tecnologie disponibili.
La prima, denominata BECCS (Bioenergy with carbon capture and storage, bioenergia combinata con cattura e stoccaggio del carbonio), prevede la combustione degli alberi – che sottraggono l’anidride carbonica dall’atmosfera – e la cattura della CO2 risultante dalle ciminiere, che viene poi seppellita sottoterra, consentendo una netta riduzione di CO2 dall’atmosfera. La seconda tecnologia, chiamata DAC (Direct Air Capture, cattura diretta dall’aria), prevede macchinari che letteralmente aspirino la CO2 dall’aria usando una reazione chimica.
Entrambe queste tecnologie presentano notevoli controindicazioni, affermano i critici: per coltivare piante sufficienti per la BECCS sarebbe necessario trasformare enormi aree di terreni agricoli in biocampi. E la DAC è ancora estremamente costosa.
Urgente ma non impossibile
Definendo il report “un momento decisivo per il nostro pianeta”, John Kerry, inviato speciale del Presidente USA per il clima, afferma che esso indica come “non siamo ancora all’altezza della battaglia da combattere per evitare le conseguenze peggiori della crisi climatica”, ma aggiunge, “abbiamo gli strumenti necessari per raggiungere i nostri obiettivi, tagliare le emissioni dei gas serra del 50% entro il 2030, raggiungere le zero emissioni entro il 2050 e assicurare al futuro un pianeta più sano e più pulito”.
Nonostante l’urgenza intrinseca nelle conclusioni del report, Barron precisa che non dobbiamo pensare che se le emissioni di gas serra continueranno ad aumentare oltre il 2025, la battaglia sia essenzialmente persa.
“Anche se supereremo gli 1,5 °C, ogni decimo di grado che riusciremo a risparmiare per rimanere al di sotto dell’aumento di 2 °C determinerà una notevolissima riduzione nella sofferenza umana”, afferma Barron. “Dobbiamo davvero accelerare e intensificare quello che stiamo facendo su tutti i fronti, e più aspettiamo, maggiore sarà il danno climatico che ci troveremo ad affrontare.
“Il più grande elemento di incertezza citato nel report IPCC è l’azione delle singole persone, e questo non è al di fuori del nostro controllo. Possiamo scegliere di percorrere una strada piuttosto che un’altra. La questione e quante saranno le persone disposte a battersi per questa causa”.
Fonte: www.nationalgeographic.it